DIETA CICLICA

E’ ormai da qualche tempo – anche se non da molto – che si sente parlare di dieta ciclica (di cui oggetto di ciclizzazione sono le calorie e soprattutto i carboidrati), della sua validità in seno alla prevenzione di condizioni di stasi del tasso metabolico e, quindi, della sua capacità di sostenere nel tempo l’efficacia dello stimolo lipolitico (noto più comunemente come: “effetto brucia grassi”) dell’approccio ipocalorico-ipoglucidico intrapreso.

Oggetto del presente articolo sarà la discussione e disquisizione scientifica degli aspetti più salienti caratterizzanti il valore aggiunto di un protocollo alimentare inteso in tali termini sul processo di dimagrimento rispetto ad una concezione classica di regime dimagrante ipocalorico-ipoglucidico (la cosiddetta e più comunemente conosciuta “dieta ipocalorica”).

Nota bene:

Le informazioni di carattere nutrizionale contenute nel presente articolo non rappresentano in nessun modo prescrizioni e/o raccomandazioni su scelte e dosaggi alimentari ma solo informazioni scientifiche di natura teorica e tecnica svincolate da qualsiasi contesto applicativo.

Pertanto l’autore declina qualsiasi responsabilità sull’eventuale applicazione dei contenuti quivi esposti.

Si raccomanda, invece, il parere del medico prima di sottoporsi a qualsiasi intervento relativo a scelte e dosaggi nutrizionali e di supplementazione/integrazione naturale.

 

Che cos’è la dieta ciclica?

Il sostantivo “ciclico” definisce una tipologia di protocollo alimentare che si caratterizza per il succedersi di apporti calorici quotidianamente differenti a livello quantitativo (e qualitativo) ricadenti all’interno di un periodo di tempo variabile (5-7-10 giorni, etc.) denominato “ciclo”.

La discriminate costituzionale che guida le variazioni caloriche quantitative dei diversi giorni è che la somma delle stesse diviso il numero dei giorni che scandiscono un “ciclo” risulti in una “media” calorica giornaliera dai connotati ipocalorici e/o comunque riduttivi rispetto all’introito calorico che scandiva il regime alimentare precedentemente osservato.

Il numero dei cicli (per i quali si deve portare avanti la dieta ciclica) si ripete in modalità successiva fino al raggiungimento del livello di adattamento lipolitico (dimagrimento) desiderato.

La validità della dieta ciclica nel favorire il processo di dimagrimento è ritenuta superiore rispetto a diete isocalorico-glucidiche che su base giornaliera (e non su “media giornaliera”) – e per tutta la loro durata – risultano energeticamente identiche.

L’efficacia della dieta ciclica la si rimanderebbe alla sua peculiare caratteristica di scandire l’apporto calorico pro-die in modo “variato” e non “statico” ma pur sempre nel rispetto di una “media” calorica giornaliera in linea alla logica di regime ipocalorico in seno al suo periodo di tempo di competenza e di riferimento: cioè il “ciclo” (e.g.: 5-7-10 giorni, etc.).

Per facilità di richiamo ai concetto espressi, si parlerà di “dieta statica” in merito alla soddisfazione del concetto di ipocaloria su base giornaliera e di “dieta ciclica” se il concetto ipocalorico è soddisfatto su una base “media” giornaliera calcolata in riferimento ad un intervallo di tempo predeterminato (ciclo).

Quindi, per riassumere e prima di passare ad un esempio pratico di dieta ciclica – che palesa meglio il concetto teorico fin’ora espresso – è bene precisare che le diete dimagranti di tipo “statico” basano la loro efficacia su un apporto alimentare quantitativo ipocalorico-ipoglucidico su base giornaliera (cioè ogni giorno) per tutta la durata del programma nutrizionale.

Invece, la dieta ciclica pur rispettando il concetto algebrico di ipocaloria per l’apporto quantitativo alimentare, questo è soddisfatto non giornalmente ma facendo una media del totale delle calorie assunte all’interno del “ciclo”; ed è ciò che definisce il concetto di ipocaloria “media” giornaliera e NON su base giornaliera.

Ed è proprio il processo dell’altalenarsi delle calorie nel corso dei giorni che caratterizzano l’arco temporale del “ciclo” (per il quale è calcolata la “media” giornaliera ipocalorica) a determinare le risposte fisiologiche (di natura enzimatica, e metabolica) che inducono i sistemi ormonali a non percepire lo stato di deficit energetico risultante dalla media algebrica delle calorie introdotte consentendo, in tal modo, il procrastinarsi dello stimolo lipolitico (effetto brucia grassi o dimagrante).

 

Dieta ciclica, come procedere?

Vi sono due modi per stimare l’apporto calorico dall’assetto “IPO”.

1) Uno più personalizzato che fa riferimento a dei parametri individuali specifici: attraverso le opportune attrezzature diagnostiche e professionali si misura il metabolismo di base.

In base ai valori calorici rilevati si procede verso un’assunzione calorica “sufficientemente” inferiore al metabolismo di base per garantire l’accezione “ipocalorica” (ad esempio 200 kcal di deficit calorico, cioè 200 kcal in meno rispetto all’introduzione calorica necessaria per soddisfare il metabolismo di base).

 

2) Un altro derivante da regole subentrate nell’uso comune e di più veloce impiego senza avvalersi di attrezzature diagnostiche.

Si stimano circa 22 calorie pro chilo di peso corporeo.

In virtù di ciò un individuo sano di 66 kg dovrebbe assumere circa 1452 kcal (valore rappresentante – teoricamente – l’apporto ipocalorico per una persona sana di 66 kg).

In ognuna delle due modalità si deve, tuttavia, tenere in considerazione l’ulteriore deficit calorico derivante dalla tipologia ed intensità dell’attività fisica condotta nonché del carico lavorativo totale e complessivo giornaliero.

 

Esempio calorico di dieta statica e dieta ciclica in riferimento ad una persona sana di 66 kg.

66 kg x 22 kcal = 1452 kcal

 

Nel concetto di dieta statica tale scocca calorica (1452 kcal) è mantenuta ogni giorno per tutta la durata per la quale ci si sottopone a tale tipo di regime calorico-nutrizionale.

In un concetto di dieta ciclica, invece, le 1452 kcal che determinano il connotato ipocalorico non sono rispettate giornalmente ma secondo una “media” calorica giornaliera riferita ai giorni del “ciclo”.

Prendiamo ad esempio l’opzione di un ciclo di 10 giorni nel quale far risultare le 1452 kcal nell’ottica della “media” calorica giornaliera e non su base giornaliera.

 

esempio-dieta-ciclica-10gg

1540 kcal + 1540 kcal + 1355,2 kcal + 1355,2 kcal + 739,2 kcal + 739,2 kcal + 1232 kcal + 2710,4 kcal + 1848 kcal + 1540 kcal = 14599,2 kcal (Totale calorico dei 10 giorni del “ciclo”).

14599,2kcal : 10 giorni = 1459,9 kcal (Media Calorica Giornaliera calcolata su 10 giorni).

 

Le variazioni quantitative dell’apporto calorico (siano esse in fase di incremento quanto in fase di decremento) all’interno di ogni ciclo nutrizionale devono essere di esclusiva prerogativa della matrice glucidica. La componente proteica deve rimanere inalterata per frenare il più possibile (meglio sarebbe “arrestare”) gli eventi di catabolismo proteico che insorgono durante protocolli nutrizionali dai connotati ipocalorici.

Nel volgere verso i giorni che caratterizzano le unità nutrizionali di più ristretto apporto calorico all’interno del ciclo e qualora le variazioni decrementali a carico dei soli glucidi non fossero sufficienti nel soddisfare il raggiungimento dell’apporto ipocalorico previsto, in tal caso, la residua parte calorica che dovrà essere sottratta proverrà dalla quota lipidica.

Verranno discusse, in seguito, le motivazioni che avallano tali modus operandi relativamente all’apporto proteico e glucidico all’interno del ciclo.

Si discuterà, inoltre, quali sono le risposte fisiologiche favorevoli al dimagrimento indotte dalle variazioni caloriche giornaliere tipiche dell’assetto “ciclico” rispetto ad un modello dietetico “statico” isocalorico ed in via secondaria quali accorgimenti alimentari, e di allenamento si suggerisce di prendere in considerazione in concomitanza di tale programmazione al fine di ottimizzare gli scopi lipolitici (effetti dimagranti) dello stesso.

Finora si è parlato di “staticità” e “ciclicità” delle calorie, ma in realtà il decremento calorico è fatto derivare dalla riduzione dell’apporto glucidico.

 

Aspetti vantaggiosi dell’assetto ipogludico-dietetico in generale

MENO SECREZIONE DI INSULINA

Tale aspetto ormonale favorisce la spinta lipolitica (effetto dimagrante) attraverso la depressione dei processi lipogenici (quelli che determinano l’accumulo di grasso corporeo) e l’esaltazione di quelli lipolitici (cioè quelli che favoriscono l’utilizzo dei grassi di deposito a scopo energetico) grazie al mantenimento di bassi livelli nella risposta e portata dell’increzione insulinemica derivante da un decrementato apporto glucidico.

La riduzione calorico-glucidica porta inevitabilmente la percentuale calorica di derivazione lipidica ad incrementare.

 

+ MOBILIZZAZIONE LIPIDI

Il ridotto apporto glucidico favorisce l’ottimizzazione della mobilizzazione dei grassi e la loro ossidazione a scopo energetico grazie all’effetto inibitorio esercitato su uno dei passaggi del circuito glicolitico e più precisamente bloccando la fosfofruttochinasi e quindi non consentendo la fosforilazione della fruttoso-6-fosfato – che rappresenta il punto di controllo più importante della sequenza glicolitica. 1

Per tal motivo, il non poter proseguire delle reazioni della sequenza glicolitica consente di cambiare i rapporti della miscela metabolica utilizzata a scopo energetico facendo aumentare la quota di contributo percentuale ed assoluta del substrato energetico di derivazione lipidica (cioè dai grassi).

 

+ OSSIDAZIONE LIPIDI

Oltre al fattore metabolico citato in grado di enfatizzare la mobilizzazione dei grassi dal tessuto adiposo, ad esso è correlato una parallela efficienza nella loro ossidazione.

Gli acidi grassi mobilizzati possono derivare dal tessuto adiposo o – in caso di esercizio – più prontamente dal grasso intramuscolare (parlasi, pertanto, di lipidi intramuscolari).

Al di là dell’aspetto meramente benefico in seno al contesto di definizione muscolare trattato relativamente agli atleti, lo stato di deplezione del glicogeno attraverso la strategia combinata di dieta ipocalorica-ipoglucidica ed allenamento di resistenza è fortemente in grado di ridurre i lipidi intramuscolari.

Questo è adattamento di salubrità e longevità quando applicato soprattutto nei confronti del soggetto medio sedentario poiché un loro diminuito livello quantitativo è associato ad un miglioramento della sensibilità all’insulina. 2

Considerazione di non poco valore sulla prospettiva di longevità dell’uomo medio sedentario più che dell’atleta (nel quale – atleta di endurance – seppure il livello di trigliceridi intramuscolari risulta più elevato, questo non si è dimostrato aver alcun effetto nell’impattare negativamente la sensibilità delle miocellule all’insulina per via dell’elevato livello di ossidazione lipidica occorrente in corso di esercizio fisico); elevati livelli di lipidi intramuscolari sono associati a fattori di rischio legati alle patologie cardiache, diabete, elevazioni dei livelli di LDL e trigliceridi plasmatici.

Tutto ciò verosimilmente per via della mediazione delle alterazioni enzimatiche occorrenti in seno alla morfologia e funzionalità cellulare: variazione della localizzazione intracellulare delle proteine trasportatrici gli acidi grassi, depressa attività enzimatica mitocondriale, e alterazione della stessa morfologia mitocondriale.

Il tipo di metabolismo energetico che utilizza preferibilmente i grassi a scopo energetico è quello aerobico ossidativo che trova localizzazione cellulare all’interno dei mitocondri.

Il sistema aerobico per quanto efficiente nella sua capacità energetica (che è praticamente illimitata) è d’altra parte scarso nella potenza energetica (che ammonta a 1 moli ATP/minuto) in grado di erogare rispetto agli altri due sistemi esoergonici (metabolismo anaerobico alattacido e metabolismo anaerobico lattacido).

Questo si traduce in profondi adattamenti metabolici da parte delle fibre muscolari.

Per poter far fronte alle stesse richieste di esercizio fisico a cui si è normalmente abituati ma in assenza di substrati energetici su cui si basa la produzione di ATP dei tipi di metabolismo energetico più potenti (anaerobico alattacido e lattacido rispettivamente), il corpo si adatta aumentando il numero di mitocondri così da poter compensare la quantità di molecole di ATP da poter disporre nell’unità di tempo.

Ciò equivale ad un maggiore utilizzazione del combustibile organico elettivo per il metabolismo energetico che caratterizza l’attività energetica dei suddetti organuli cellulari.

Infatti, la deprivazione calorico-glucidica media l’abbassamento del rapporto intracellulare ATP/AMP che a sua volta incrementa l’attività dell’AMP Chinasi (AMPK).

L’attivazione acuta dell’AMPK è la risposta dell’organismo per difendersi da stati di sensibile deprivazione energetica e tale adattamento è ottenuto grazie ad un incrementato trasporto di glucosio attraverso la traslocazione dei GLUT-4 ed una sovra regolata ossidazione degli acidi grassi.

L’AMPK non è solo l’attivatore di un più efficiente utilizzo dei substrati energetici (soprattutto lipidici) ma anche potente inibitore dei processi lipogenici (eventi che presiedono alla deposizione di grasso) per il blocco esercitato sull’Acetil CoA Carbossilasi.

Al di là dell’importante incremento del rapporto catabolismo/anabolismo sui substrati lipidici è altresì notevole il suo impatto sul contenuto cellulare mitocondriale.

L’acuta attivazione dell’AMPK è mediatrice della sovra espressione genica cellulare di PGC-1α e CaMK IV che a loro volta rappresentano l’evento ultimo responsabile dell’incrementata biogenesi mitocondriale.

E quindi il dimagrimento non è nient’altro che il risultato scaturito da adattamenti enzimatici favorenti l’incrementato contenuto mitocondriale cellulare, mobilizzazione ed ossidazione lipidica. 3

 

MAGGIOR SENSIBILITA’ VERSO L’INSULINA

La riduzione dell’apporto glucidico aumenta la sensibilità delle cellule muscolari all’insulina.

Questa modificazione di sensibilità recettoriale che rende maggiormente efficiente il tessuto target all’azione ormonale implica di conseguenza una minore secrezione d’insulina ad un successivo introito calorico glucidico di più importante portata con il risvolto di minori conseguenze lipogeniche (cioè quelle favorenti i processi di accumulo di grasso corporeo).

 

MINOR STRESS OSSIDATIVO HPA (Hypotalamus-Pituitary-Adrenal axis)

La riduzione dell’apporto glucidico determina minor stress ossidativo dell’asse HPA e quindi minor risposta cortisolemica.

Livelli cortisolemici nel range del fisiologico mantengono ottimali gli scambi ionici cellulari e questo favorisce il mantenimento di un sostenuto metabolismo di base.

Questi adattamenti ad un ridotto apporto calorico glucidico sono quelli che determinano il successo lipolitico di un programma nutrizionale forgiato di tali caratteristiche, ma il rovescio della medaglia è il blocco lipolitico (cioè il blocco al processo di dimagrimento) per la minaccia che un eccessiva e reiterata diminuzione della massa grassa rappresenta per la sopravvivenza dell’individuo.

Tale blocco attuato da un rallentamento del metabolismo di base (responsabile delle sorti del dimagrimento) è mediato da un decremento nell’output secretivo degli ormoni tiroidei.

Il trigger che sancisce la loro variazione negativa è più legato ai livelli glucidici che non calorici. 4

E’ questo, ma non il solo, il contesto metabolico e quindi ormonale che richiama la necessità di introdurre variazioni applicative al regime nutrizionale ipocalorico-ipoglucidico – da qui e vedremo perché il successo del connotato “ciclico” del regime alimentare.

 

Vantaggi della dieta ciclica

Come premesso all’inizio, la ciclicità non interferisce sull’impostazione quantitativa ipoglucidica ipocalorica dell’assetto nutrizionale ma sulla sua distribuzione entro il numero totale di unità temporali (giorni) che rientrano a far parte dell’intervallo temporale (ciclo) per il quale il connotato ipoglucidico della “media” giornaliera è calcolato.

Normalmente questo modo di operare prevede un giorno in cui le calorie e l’apporto glucidico sono sensibilmente più elevati per compensare (e, quindi, rientrare nel totale calorico-glucidico medio giornaliero preventivato) quelli in cui gli apporti energetici risultano più ridotti e fortemente depressi; così il connotato ipoglucidico è soddisfatto facendo la media algebrica tra gli introiti glucidici e calorici del totale dei giorni del ciclo.

Ma l’erudizione del metodo applicativo risiede proprio nel giorno di relativo sovra apporto calorico-glucidico.

Questo consente l’estrinsecarsi di vantaggi a vari livelli.

Il corpo legge tale variazione come una condizione di abbondanza energetica. Questo lo porta a non far deprimere il livello degli ormoni tiroidei.

Infatti, l’apporto glucidico – piuttosto che il connotato calorico in sé -avrebbe un ruolo nel modificare l’attività della 5-deiodinasi di tipo 1 localizzata a livello del rene e fegato e responsabile della conversione del T4 in T3.

Pertanto, in virtù di un apporto glucidico “sostenuto”, infrequente ma esistente, il metabolismo di base è preservato e lo stimolo lipolitico e l’ossidazione lipidica propri degli adattamenti metabolici ed enzimatici forgiati dal contesto nutrizionale dei rimanenti giorni continuano a reiterarsi nel tempo. 4

 Inoltre, valori di ormoni tiroidei minimamente conservati agirebbero in sinergia con i livelli di insulina (secreti in risposta all’iper introduzione di carboidrati occorrente nel giorno in cui sono previsti e che caratterizza l’accezione ciclica dell’impostazione strutturale del regime alimentare in analisi) ottimizzando l’incorporazione di glucosio all’interno delle cellule muscolari = più glicogeno muscolare e meno lipogenesi (cioè meno accumulo di grasso corporeo). 5

Il relativo apporto incrementale di carboidrati favorisce un relativo repapeuramento del glicogeno muscolare che consente il concretizzarsi di differenti adattamenti metabolici, di performance e morfologici:

La dieta è recepita dal corpo come meno restrittiva rispetto ad una isocalorica di tipo statico.

Studi all’uopo condotti hanno messo in evidenza come questo accorgimento sia in grado di far aumentare il livello di performance relativamente a gesti esplosivi come lo Standing Jump accompagnato da incrementi percentuali nella massa magra anche se minimi. 6

 Il relativo repauperamento del glicogeno muscolare fornisce al metabolismo esoergonico lattacido il substrato energetico per la produzione di ATP ad alta potenza che sommato alla aumentata capacità produttiva ATPiasica propria del metabolismo aerobico ossidativo – per l’incremento numerico mitocondriale quale adattamento alla restrizione glucidica – consente di disporre di elevate quantità energetiche nell’unità di tempo ed alla performance di essere esaltata.

Tale ultimo adattamento può essere paragonato a quello che si instaura nell’atleta di fondo in risposta all’allenamento ad alta quota.

Tra i due esempi è necessario solo cambiare l’oggetto d’incremento quantitativo in risposta agli stimoli: nel caso di dieta ipoglucidica aumenta il numero di mitocondri, in caso di ipossia da alta quota i valori di emoglobina.

Pertanto, così come il fondista adattato all’ipossia trova vantaggio nello sfruttare la maggior disponibilità di globuli rossi a livello del mare laddove l’aria non è rarefatta e quindi maggiori concentrazioni di ossigeno possono essere sfruttate al meglio da un apparato di trasporto ematico numericamente sovra regolato, alla stessa stregua di tale esempio maggiori livelli di glicogeno muscolare contribuiscono incrementando le possibilità di produzione energetica all’interno di un sistema metabolico aerobicamente più prestante in termini di capacità per la sovra regolata quantità mitocondriale.

Per quanto l’aspetto performante non sia una priorità in chi adotta tale regime nutrizionale ai fini dimagranti, lo stesso fornisce contributo non trascurabile al successo del dimagrimento stesso.

Si vuole ricordare che la potenza del sistema lattacido attivato da fattori nervosi ed alimentato dal glicogeno muscolare consente l’impiego di carichi ed intensità superiori di allenamento rispetto all’impiego della sola o prevalente produzione energetica (per quanto ottimizzata essa sia) di derivazione aerobica.

L’allenamento coi pesi ad alta intensità, quella sopramassimale, è trigger per l’attivazione dell’EPOC (Excess Post-exercise Oxygen Consumption), importante responsabile dell’innalzamento del metabolismo di base nelle fasi di ristoro “post allenamento”.

L’incremento dei valori di EPOC in abbinamento all’incremento mitocondriale favorisce un maggior potenziale lipolitico (cioè brucia grassi).

Infatti, il metabolismo di riposo è contraddistinto da un contributo percentuale del metabolismo aerobico ossidativo pari al 90% circa rispetto a quello di derivazione degli altri sistemi esoergonici.

Se si considera la sovra regolazione numerica delle strutture (mitocondri) nei quali esso si esplica e la contestualizzazione a tale adattamento di una incrementa spesa energetica derivante da elevati valori di EPOC, ciò si traduce in un maggior contributo lipidico alla spesa energetica propria delle fasi di ristoro del periodo di recupero post-allenamento → OTTIMIZZAZIONE QUANTITATIVA DELL’OSSIDAZIONE LIPIDICA.

Si ricorda, inoltre, che l’incremento dei valori EPOC è prerogativa di diversi fattori tra cui anche quello ormonale dell’incrementata increzione catecolaminergica (adrenalina, noradrenalina) indotta dall’intensità dell’esercizio.

Le catecolamine esercitano l’importante azione di sensibilizzazione delle cellule bersaglio agli ormoni tiroidei rendendo, pertanto, più efficiente la loro interazione col tessuto target ed altresì il loro effetto biologico a livello periferico.

Ecco anche perché un ripristino relativo del glicogeno muscolare all’interno di un regime calorico restrittivo trova giustificazione soprattutto se con esso si vuole enfatizzare l’aspetto LIPOLITICO attraverso tutte le possibili vie metaboliche ed ormonali che lo favoriscono! 5

L’incrementato apporto glucidico previene il catabolismo proteico-tissutale con tutte le conseguenze positive che ciò determina sui valori del metabolismo di base.

L’allenamento pesi sopramassimale (cioè quello in cui i soli processi aerobico ossidativi non sono in grado di soddisfare le richieste energetiche dell’intensità allenante) che è quello che forgia i connotati d’intensità dell’allenamento pesi indirizzato al bodybuilding, determina elevazioni dell’LDH cellulare.

La lattico deidrogenasi è marker del danno muscolare.

Infatti, i suoi incrementi in caso di danno muscolare sono paralleli a quelli del DNA plasmatico.

L’apporto di carboidrati è in grado di non far elevare l’LDH cellulare, i livelli di DNA plasmatico e l’ampiezza della risposta immunitaria quali conseguenze di un ridotto stress allenante e catabolismo proteico. 7

Pertanto, il loro apporto infrequente “ma tuttavia presente” e pur sempre nel rispetto della logica ipocalorica ipoglucidica su basemedia” giornaliera trova la sua razionale applicazione nell’enfatizzazione acuta dei processi lipolitici da una parte e l’attenuazione di quelli proteico-catabolici dall’altra; in tal modo il metabolismo di base è preservato così come lo è – come conseguenza a ciò – lo stimolo lipolitico della deprivazione calorica nel tempo .

Alcuni consigli non direttamente ascrivibili alle caratteristiche strutturali ed operative del regime ciclico ma pur sempre funzionali a trarre il massimo del potenziale lipolitico durante l’arco temporale in cui ci si sottopone a tale assetto dietetico-nutrizionale possono essere forniti in seno ad alcuni aspetti allenanti e alla qualità delle fonti nutrizionali.

 

ALLENAMENTO AEROBICO NELLA DIETA CICLICA

 

Interval training

Molti sono diventati sostenitori e fautori dell’allenamento aerobico ad alta intensità, interval training ed H.I.I.T.

Ciò a ragione (ma non in tal contesto come vedremo successivamente, e per diversi motivi):

Il consumo calorico per sessione è superiore rispetto a quello erogato per intensità inferiori e pari al 50% del Vo2 Max.

I valori di EPOC del periodo post-exercise risultano superiori rispetto a quelli sortiti da una pari durata d’esercizio ma rapportata a valori d’intensità allenante pari al 50% del Vo2 Max.

 

Ma tali ragioni non trovano un’applicazione valida ai fini lipolitici (tralasciando, invece, il beneficio indotto sulla performance cardiovascolare che per quanto risulti desiderabile, non riveste importanza prioritaria in un quadro applicativo volto ad enfatizzare il dimagrimento) e soprattutto all’interno di un contesto metabolico adattato all’allenamento pesi ed al tipo di regime nutrizionale ciclico perseguito.

Per quanto il dispendio calorico di un’attività aerobica ad alta intensità registri valori quantitativi sensibilmente superiori rispetto ad un’attività aerobica di pari gittata temporale ma con presupposti d’intensità medio bassa nel range del 40-50% del Vo2 Max, il contributo lipidico alla spesa energetica subisce un decremento percentuale di sensibile portata passando da un 50% /(tipico di un attività aerobica di bassa-media intensità) ad un 30%, e peggio ancora un 3-6% delle calorie spese per l’erogazione incrementale di lavoro derivano dal catabolismo proteico. 10

L’attività aerobica ad alta intensità oltre a riportare un contributo lipolitico percentuale inferiore rispetto a quella definibile per valori d’intensità nella misura del 40-50% del Vo2 Max è anche più catabolica. 11

Non solo, l’attività aerobica ad alta intensità mal si confà al mantenimento dell’equilibrio dei fini e delicati aspetti nervosi che regolano le sensazioni fame/sazietà; più precisamente mal si adatta al non indurre condizioni metaboliche di reiterata stimolazione nervosa del senso di fame già sovra stimolato, soprattutto nel primo periodo, da un qualsiasi regime nutrizionale calorico restrittivo. 12

Inoltre, all’interno di un contesto d’allenamento che già prevede quello di tipo anaerobico coi pesi e d’intensità sopramassimale, l’innalzamento dei valori EPOC è già soddisfatto da tale tipo di lavoro.

Pertanto, la ricerca di un incremento dei valori EPOC attraverso l’erogazione di attività aerobica ad alta intensità di vario tipo, non solo si sovrapporrebbe come tipologia di stimolo impartito al corpo ma non sarebbe nemmeno della stessa portata per via della minor intensità e valori di depapeuramento che contraddistinguono tale attività rispetto a quella che forgia quello dell’allenamento culturistico.

Invece, il processo di dimagrimento perché sia ottimale deve essere ottenuto attraverso vie metaboliche e stimolazioni diverse che convergono verso lo stesso fine ed adattamento morfologico = dimagrimento (cioè perdita di massa grassa e non perdita di peso corporeo).

Non finisce qua!

L’attività aerobica a bassa intensità oltre ad avere un effetto lipolitico diretto nei termini di maggior aliquota percentuale lipidica sul contributo della spesa energetica totale necessaria a portare avanti l’esercizio fisico, ne esercita anche un altro di natura ormonale altrettanto importante.

I NEFA (“Non Esterified Fatty Acids”, che tradotto vuol dire: “Acidi Grassi Non Esterificati”) liberati dal metabolismo aerobico ossidativo di durata (come quello che caratterizza l’attività aerobica a bassa intensità) agiscono spiazzando la T4 dai siti di legame delle proteine plasmatiche aumentando la quota libera dell’ormone (e non le sue concentrazioni totali) con tutte le conseguenze positive sull’innalzamento del metabolismo di base che tale adattamento ormonale comporta. 4

Inoltre, per quanto i programmi HIIT decretino un rapido miglioramento dei livelli di fitness, l’attività aerobica continua, costante e condotta a bassa intensità è superiore a livello lipolitico rispetto all’HIIT in un intervallo temporale di 12 settimane.

Secondo quanto riportato nello studio i ricercatori hanno constatato una riduzione del livello di grasso addominale del 3,1% nel gruppo che conduceva aerobica continua ed a bassa intensità laddove nel gruppo HIIT non si è evinto alcun cambiamento. 13

 

ASPETTI NUTRIZIONALI DELLA DIETA CICLICA

E’ fondamentale che all’interno di qualsiasi contesto nutrizionale di tipo ipocalorico sia mantenuto un sufficiente apporto proteico di elevato valore biologico al fine di preservare la muscolatura striata scheletrica dalle più che probabili conseguenze ad indirizzo catabolico.

In una persona sana e fisicamente attiva l’apporto proteico necessario ad evitare la perdita di massa muscolare è stimato ai 2,2g pro chilo di peso corporeo. 14

In uno studio è stato osservato che 20g di proteine pro pasto sono sufficienti nel massimizzare le sintesi proteiche muscolari. 15

Altri studi, invece, evidenziano valori incrementali nelle sintesi proteiche muscolari in risposta all’assunzione di 30-36g di proteine pro pasto. 16, 17

 E’ di estrema importanza, in tali frangenti di ridotto apporto calorico far abbassare la sensazione di fame.

E ciò può essere soddisfatto sopprimendo la sensazione di fame o incrementando il livello di sazietà.

Se si deprime la sensazione di fame anche le strategie e comportamenti volti alla ricerca di cibo (ulteriore ed in eccesso) vengono meno.

Come si sa la colazione è il pasto più importante della giornata.

Tra i benefici che ne derivano si annovera maggiore sensazione di pienezza e soddisfazione dopo il pasto nonché una ridotta attivazione dell’ippocampo, dell’amigdala e corticolimbico medio frontale nella finestra notturna.

Ma quando il pasto della colazione acquisisce i connotati di iperproteico si osserva una ulteriore riduzione nell’attivazione ippocampale e paraippocampale nonché ed altresì una ridotta secrezione del neuromediatore Grelina (che stimola la sensazione di fame) e del peptide YY rispetto ad una colazione priva di apporto proteico. 18

 Inoltre, l’apporto iperproteico oltre a favorire una maggiore sensazione di pienezza dopo il pasto, riduce la fame e ritarda il consumo dei pasti successivi rispetto al digiuno ma anche rispetto ad un pasto che prevede poche e/o moderate quantità di proteine. 19

 Infine, è importante anche la fonte alimentare dell’apporto proteico. Le uova consumate a colazione producono minore sensazione di fame e meno desiderio di consumare altro cibo successivamente. 20

 Sempre in linea al tentativo di placare sensazioni di fame e soddisfare il senso di sazietà per evitare un precoce abbandono e quindi fallimento di un regime ipocalorico ipoglucidico, anche le fonti glucidiche devono essere selezionate in modo erudito.

Tra i tanti aspetti da tenere in considerazione è l’indice glicemico.

Pasti con fonti glucidiche a basso indice glicemico determinano una maggiore sensazione di sazietà e di conseguenza un minor introito calorico in seno al pasto successivo. 21

Si ricorda, inoltre, che le proteine in un regime ipocalorico dimagrante, oltre ai vantaggi sopra discussi, sono elemento chiave per enfatizzare il processo di dimagrimento.

Le proteine inducono termogenesi. Più precisamente hanno il valore di T.I.D. (Termogenesi Indotta dalla Dieta) più elevato rispetto agli altri macronutrienti (carboidrati e grassi).

Significa che una parte dell’energia (kcal) derivante delle proteine introdotte con la dieta viene dissipata sottoforma di calore!

L’energia necessaria per digerire ed assorbire le proteine induce l’intestino a liberare energia sottoforma di calore. 22

 Sempre in riferimento alla capacità delle proteine di favorire la termogenesi, queste durante un regime ipocalorico-ipoglucidico preservano il tessuto muscolare dagli eventi catabolici e la massa muscolare, come è noto, ha una correlazione positiva con il numero di calorie utilizzate quotidianamente. 23, 24

Inoltre, se la fonte proteica contiene grassi, la bile verrà rilasciata da parte della Cistifellea che contiene acidi biliari.

E’ interessante notare come i grassi insaturi incrementino la termogenesi molto più sensibilmente rispetto ai grassi saturi. 25

 Gli acidi biliari interagiscono con i recettori del “grasso bruno” che attivano la dispersione di energie (calorie) sottoforma di calore. 26

A ciò si aggiunga il fatto che a livello intestinale, durante la digestione, vengono rilasciati ormoni che attivano il “grasso bruno” sommandosi così all’azione degli acidi biliari. 27

 

 

SICUREZZA DELLA DIETA IPERPROTEICA (RELATIVAMENTE ALL’ACIDITA’) IN SENO AI GIORNI A BASSO APPORTO GLUCIDICO

Inevitabilmente, qualsiasi tipologia di regime calorico restrittivo di derivazione ipoglucidica risulta sbilanciato nella quota proteica relativa (%) ed assoluta (grammi) in riferimento alle calorie totali dell’apporto giornaliero.

Motivo di allarme è l’eccessiva produzione di residui azotati che favorirebbe un elevarsi del grado di acidità e soprattutto l’apparente non capacità di poterla compensare per la scarsa introduzione di alimenti glucidici a PRAL negativo (basici) con tutte le considerazioni sulle conseguenze negative che possono derivare a livello di organi ed apparati da tale estremizzata condizione metabolica.

Poiché tale articolo trovasi insito in un contesto di “lettorato” di nicchia (Bodybuilding, Fitness e Personal training) e non di massa, si dà per scontato che chi lo legga sia anche un soggetto che si allena coi pesi e pertanto le asserzioni enunciate nello stesso circa l’efficacia di uno stimolo alimentare e/o di allenamento le si intendono contestualizzate alla tipologia di lettore che è anche un praticante della cultura fisica.

Pertanto, così come la non opportunità di un programma aerobico ad alta intensità è stata asserita non in termini assoluti nel favorire il processo lipolitico ma in termini “relativi” che prendono in considerazione la sua ottimizzazione ma soprattutto quando in accostamento ad un parallelo allenamento pesi dai connotati tipici del bodybuilding, anche le considerazioni di quest’ultimo punto riferite alla sicurezza di un approccio alimentare iperproteico si intendono riferite alla popolazione che adotta uno stile di vita prettamente culturistico anche se non di indirizzo agonistico.

Premesso ciò, il livello di acidità indotto da un elevato apporto proteico non compensato da una regolare assunzione quantitativa normo-calorica e glucidica di tipo basico non comporta alcuna conseguenza negativa sul tasso di perdite di calcio dalla matrice ossea, nell’escrezione di fosfati, nell’alterare i valori di acidosi fissa renale e volatile respiratoria.

Tale assunto è supportato da uno studio che ha messo a confronto tra loro gruppi che seguivano una dieta ad elevato PRAL ed un altro che seguiva un approccio a basso tenore di PRAL.

Nonché da un altro interessante studio indirizzato al contesto culturistico che ha messo in stretta relazione il comportamento alimentare di otto bodybuilders d’elite e le relative ripercussioni metaboliche.

In nessuno di tali studi si sono registrate alterazioni dei marker del metabolismo osseo e, quindi, effetti negativi sulla salute delle ossa tanto meno fenomeni di acidosi metabolica legati ad un approccio nutrizionale iperproteico. 8, 9

 

 

ASPETTI INTEGRAZIONALI DELLA DIETA CICLICA

 

Aminoacidi-ramificati

Ricordandosi che il contesto nutrizionale in oggetto rientra in un contesto di deprivazione calorico-glucidica e che come tale gli eventi catabolici sono esaltati non solo sul substrato lipidico ma anche su quello proteico tissutale (e non in seno alla sola accezione striata-scheletrica ma anche quella liscia, con tutte le ripercussioni negative che il catabolismo esercita anche su quest’ultima di cui risultano costituite anche le ghiandole endocrine!!!) risulta fondamentale adottare delle strategie selettive per limitare l’evento sulla componente proteica.

Una di queste è l’integrazione con aminoacidi a catena ramificata (più comunemente conosciuti con l’acronimo inglese di “BCAA”).

Questi presentano una duplice azione anabolica sulla muscolatura: stimolazione della sintesi proteica ed azione anticatabolica.

Infatti, la letteratura riporta che gli effetti anabolici della leucina sono regolati da meccanismi simili a quelli che regolano gli effetti dell’insulina. 28, 29

La leucina è risaputa interagire con i sistemi effettori dell’azione periferica dell’insulina con conseguente apparente controllo dei processi di sintesi proteica risultando, pertanto, in grado di preservare il tessuto muscolare durante periodi di restrizione calorica.

E’, inoltre, dimostrato che gli integratori a base di leucina sia in grado di stimolare la sintesi proteica in modalità insulino-indipendente.

Ad esempio, un determinato dosaggio di leucina determina la stimolazione delle sintesi proteiche in modo indipendente dai cambiamenti plasmatici dei livelli di insulina circolanti laddove, invece, una somministrazione di carboidrati a base di saccarosio e glucosio responsabile di far elevare le concentrazioni insulinemiche di due volte e mezzo rispetto ai valori glicemici in condizioni di digiuno non ha sortito effetti sui processi di sintesi proteica. 30

Evidenti sono anche i contributi dei BCAA (aminoacidi a catena ramificata) a livello lipolitico.

L’isoleucina ha dimostrato ridurre i livelli di lipidi intramuscolari ed epatici nonché incrementare sensibilmente l’attività delle proteine disaccoppianti all’interno delle cellule muscolari, fattore quest’ultimo che media gli effetti lipolitici. 31

 Inoltre, in uno stato di deplezione di glicogeno muscolare – come è oggetto di discussione di questo articolo – ai fini di porre enfasi sugli adattamenti enzimatici che incrementano sensibilmente la mobilizzazione quanto l’ossidazione lipidica, l’uso di BCAA durante allenamento di resistenza (come quello coi pesi adattato alle intensità proprie alla stimolazione dell’ipertrofia muscolare) ha fatto registrare valori di affaticamento inferiori rispetto ad un loro NON utilizzo (e come si è previamente citato, stati di deplezione glicogenica sono compromettenti i livelli di potenza e di performance nonché inducenti precoci stati di affaticamento psico-fisico) nonché più bassi valori nel coefficiente del RER – più basso è il valore del RER maggiore è il contributo lipidico alla miscela metabolica utilizzata in corso di esercizio fisico. 32

 Pertanto, la dieta ciclica applicata insieme alle giuste strategie d’allenamento, integrazionali e se ben supportata dalle giuste ed erudite scelte relativamente alle fonti alimentari che la definiscono, rappresenta certamente un eccellente ottimizzatrice dei processi di dimagrimento e/o definizione muscolare.

Be Smart, STAY HARD!

Del dott. Francesco Casillo

 

Referenze scientifiche

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8) Cao J.J., Johnson L.K., Hunt J.R. – “A diet high in

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